Come parlo di LGBTQI+ alle persone adulte? non mi capiscono!

Negli ultimi mesi durante alcuni interventi sull’identità di genere fatti nelle scuole superiori e all’università, diverse persone hanno chiesto come potessero parlare alle figure adulte di argomenti come genere, identità, orientamento erotico sentimentale. Come si può ridurre il gap generazionale con genitori, parenti, insegnanti, medic*? Perché sembra un linguaggio incomprensibile? Perché si usano molte parole inglesi?

La prima questione su cui dobbiamo interrogarci riguarda i motivi per cui la comunità lgbtq+ si è dotata di una lingua che per molte persone risulta incomprensibile. Partiamo da un breve ma necessario riferimento storico, ci serve per comprendere.

La lingua lgbtq è l’espressione e il prodotto di una comunità che nel tempo si è dovuta dotare di dispositivi linguistici e culturali propri per garantire l’interazione e talvolta la sopravvivenza tra i suoi membri in ogni parte del mondo. Codici linguistici e parole segrete, note solo all’interno della comunità, nella storia lgbtq, hanno avuto la funzione di proteggere una popolazione da persecuzioni, attacchi e violenze e di definirne i confini per garantirne la sopravvivenza. Quando parliamo di comunità lgbtq ci riferiamo ad un gruppo o segmento della popolazione accomunato da alcuni tratti che sfuggono, contrastano, reinterpretano le norme su genere e sessualità nell’età contemporanea, ovvero quelle norme elaborate teoricamente nell’Occidente europeo e nordamericano tra il XIII e il XIX secolo, tradotte in pratiche concrete (legali, mediche, religiose, socioculturali) che ancora oggi regolano le nostre vite. Si tratta di una comunità non omogenea al suo interno, che presenta differenze e aspetti di conflittualità tra soggettività ed esperienze situate in contesti geografici e culturali diversificati. È una comunità immaginata e costruita: così come genere e sessualità non sono leggibili in termini di naturalità, ma sono costrutti sociali, anche le soggettività lgbtiaq+ non sono astoriche e naturali. Infine, la comunità è transnazionale e come tale formula strategie retoriche, politiche ed esistenziali per negoziare i propri spazi di vivibilità e visibilità. (1) Tra queste anche la produzione di una vera e propria lingua che in questo senso è creativa, costruita nell’interazione tra i membri, che ne condividono la varietà e le norme per l’uso.

Il ricorso a termini inglesi ha a sua volta diversi motivi, proprio perché la comunità è transnazionale alcune espressioni nascono da subculture localizzate ovunque nel mondo che però sono collegate tra loro e marcate da simboli che ne garantiscono la riconoscibilità e la possibilità di avvicinamento. Servono proprio a questo le bandiere, a marcare un territorio e comunicarlo all’esterno. Se entro in uno spazio in cui ci sono esposte delle bandiere, anche con un piccolo adesivo, so che in quel territorio posso parlare la mia lingua, che probabilmente quel luogo è abitato da persone che fanno parte della comunità a cui appartengo e in cui potrò sentire riconoscimento, rispetto e sicurezza.

L’uso di parole inglesi da parte delle giovani generazioni ha quindi una funzione di differenziazione identitaria ma anche di protezione: parlare in codice in un contesto che non accoglie, perseguita, aggredisce, garantisce la sopravvivenza! L’assenza nella lingua italiana di parole che si riferiscono a una realtà ci dice anche che per la nostra società parlante quella realtà è ancora invisibile. Ci si rende invisibili, si sta stealth, fuori dai radar, ancora una volta, per proteggersi, ma anche perché storicamente è avvenuto un processo di invisibilizzazione. Durante il fascismo, per esempio, in Italia fu adottata una precisa strategia di cancellazione del lesbismo basata sul silenzio, sul non nominare una realtà che fino a quel momento non aveva un referente linguistico in italiano corrente per essere nominata, in modo tale che le persone non potessero riconoscersi. Attraverso il silenzio le persone fuori della norma venivano portate al confino. A differenza del nazismo, il regime di Mussolini non promulgò nessuna legge proprio perché non se ne parlasse, in questo modo lesbiche e gay venivano fatti sparire, condannati alla non esistenza (2). L’uso e il non uso delle parole non è mai neutrale, le parole come creano la realtà possono anche nasconderla: quando nella nostra lingua ci mancano le parole per riferirci ad una esperienza che esiste è importante che ci chiediamo il motivo.

La storia delle soggettività trans sta attraversando oggi un momento di emersione e di visibilità accompagnata dalla condivisione, ricerca e produzione di parole per dirsi, per parlare di identità di genere, molte delle quali, ancora una volta, sono in lingua inglese, espressioni che sconfinano il binarismo di genere, che cercano il modo per nominare identità ed esperienze che non si riconoscono nelle uniche espressioni presenti nella lingua italiana di uomo e donna e che fino a poco tempo fa ricadevano nella parola ombrello “travestito”, o , se proprio andava bene, “travestite” (3).

Con questa premessa storico-sociale è forse ora più comprensibile il motivo per cui chi non appartiene alla comunità lgbtq+ e/o non si posiziona come alleat*, non ne comprende la lingua: non ne ha avuto bisogno, non è stato socializzat*.  La scuola, la famglia e le altre agenzie educative non insegnano la storia, i diritti, le esperienze delle persone lgbtq+, esattamente come per tanti secoli, e ancora adesso, è stata oscurata la storia delle donne, la produzione letteraria, artistica, scientifica fatta dalle donne.

Ma allora come si fa a parlare di LGBTQI+ alle persone adulte? Come fanno insegnanti, genitori, parenti, a imparare?

Si fa esattamente come se si stesse apprendendo una nuova lingua!

Vediamo alcune pratiche che possono essere applicate.

Stare in contatto comunicativo con la comunità di parlanti nativi di una lingua. Ascoltare le persone lgbtq+, esercitarsi a parlare con loro, fare domande, esprimere le proprie difficoltà. Le nuove generazioni, le giovani persone della generazione Z (nate tra il 1995 e il 2010), oltre ad essere native digitali, dialoganti e iperconnesse, sono trans e non binary native, come se avessero due lingue d’origine (le famose L1 ed L2), nel senso che hanno a disposizione in modo immediato, accessibile, facile e fruibile un bagaglio culturale e linguistico che prima degli anni 90 era nascosto e indecifrabile.

Le prossime si possono praticare individualmente, insieme alle giovani persone della vostra vita, in famiglia o anche in gruppo:

Leggere libri, blog, riviste, graphic novel, manga scritti da persone lgbtq+

Guardare serie TV, film, documentari su e prodotti da persone lgbtq+

Ascoltare pod cast e musica prodotta da persone lgbtq+

Partecipare a incontri, seminari, eventi organizzati da associazioni e attivist*

Per imparare una lingua è bene praticarla ogni giorno almeno per mezz’ora.

Se siete giovani persone dedicate da dieci minuti a mezz’ora quotidianamente per parlare con i vostri genitori, in modo semplice e diversificato, dosate pazienza e assertività, usate un linguaggio che renda comprensibile ciò che per voi è ovvio e scontato, ricordate che quando eravate bambin* ci avete impiegato almeno un anno a dire acqua e pappa, e due anni per imparare il nome delle persone che si sono prese cura di voi (da adulti ci vuole molto meno tempo per imparare un nome).

Se siete persone adulte dedicate da dieci minuti a mezz’ora quotidianamente per parlare con le giovani persone presenti nella vostra vita, che siano figl*, alliev*, o chiunque per qualsiasi motivo interagisca e abbia una relazione con voi. Aggiungete e/o alternate il colloquio con le pratiche sopra citate, considerate che mediamente una serie tv dura da 30 a massimo 60 minuti, una puntata di Transparent (4), dura da 29 a 31 minuti. Si può fare!

Tenete conto che potrebbero esserci delle resistenze all’apprendimento, ne vediamo alcune.

  1. Resistenze cognitive: imparare una nuova lingua da adulti è un po’ più difficile che farlo da giovani, ma non impossibile, si imparano nomi di calciatori e cantanti di tutte le nazionalità e in ogni lingua!
  2. Resistenze culturali: far parte di un gruppo sociale lontano della comunità ed essere cresciuti in una cultura in cui il genere è racchiuso nell’equazione “o sei uomo o sei donna” e le relazioni sono solo eterosessuali crea delle convinzioni e dei sistemi di valori che possono essere duri da ammorbidire.
  3. Resistenze psicologiche. Siccome tutt* abbiamo un genere, un’identità di genere, un’espressione di genere, un orientamento erotico-sentimentale, confrontarsi con altre possibilità può mettere in discussione la propria persona e la propria storia, può generare emozioni forti, di paura, vergogna, smarrimento, ma anche di sorpresa, gioia e curiosità.
  4. Resistenze relazionali: essere genitori di una persona lgbtq+, soprattutto se la sua identità di genere non combacia con le aspettative e con l’immagine che si è sognata per la piccola persona che si è messa al mondo, può rendere molto difficile comprendere, accogliere, integrare, ma non impossibile!

La soluzione sta nella relazione, create uno spazio che accolga le resistenze insieme al desiderio di stare insieme, conoscere, crescere e donarsi, le persone adulte ad un certo punto devono imparare da quelle giovani, nutrirsi di quel dono meraviglioso che attraverso il dialogo e il sentire insieme permette di scambiarsi esperienze, paure, desideri e condividere il fluire della vita.

Per le giovani persone, attenzione: se dopo tutte le attenzioni, le precauzioni, le cure notate che le resistenze permangono non insistete, per imparare una nuova lingua ci vuole motivazione, interesse, partecipazione attiva, curiosa e amorevole. Se queste componenti mancano, proteggetevi, coltivate tutte le altre risorse che avete a disposizione: creative, sociali, corporee, emozionali.

E quando parliamo abbiamo paura
che le nostre parole non verranno udite
o ben accolte
ma quando stiamo zitte
anche allora abbiamo paura

Perciò è meglio parlare
ricordando
non era previsto che sopravvivessimo.

Litania per la sopravvivenza. D’amore e di lotta: Poesie scelte di Audre Lorde

Bibliografia

  • Maya De Leo (2021). Queer. Storia culturale della comunità LGBT+. Einaudi
  • Nerina Milletti e Luisa Passerini (2007). Fuori della norma. Storie lesbiche nell’Italia della prima metà del Novecento. Rosenberg & Sellier
  • Porpora Marcasciano (2018). L’aurora delle trans cattive. Storie, sguardi e vissuti della mia generazione transgender. Alegre
  • Serie TV Transparent, regia di Jill Soloway (2014)

Liberiamo le fantasie erotiche

Negli ultimi giorni ho lanciato un piccolo gioco sui social chiedendo alle persone di scegliere un’immagine che raccontasse lo scenario o il luogo in cui sono ambientate le loro fantasie erotiche, pensando di essere il regista o la regista del proprio film. Ho raccolto 40 immagini e insieme al collega psicosessuologo Davide Silvestri sabato 16 le abbiamo commentate durante una diretta su instagram.

Con questo articolo condivido questa preziosa esplorazione che ci ha offerto interessanti spunti di riflessione e suggestioni sulle fantasie sessuali.

Prima di accendere la playlist di immagini facciamo alcune premesse.

Cosa sono le fantasie erotiche?

Sono immagini mentali capaci di attivare l’autoerotizzazione  creando fantasie o fantasmi definibili come una vera e propria zona erogena di tipo intrapsichico, che permette alla nostra mente di erotizzarsi, esattamente come ogni altra parte del corpo. Siamo abituat* a pensare che a stimolare il desiderio e l’eccitazione siano stimoli provenienti dall’esterno, la visione di una persona affascinante, che ci piace, che amiamo, la scena di un film erotico o pornografico, una attenzione ricevuta, una carezza, uno sguardo. Esiste un’altra via che parte dall’interno e di cui abbiamo capacità sin dall’infanzia, quella di creare mondi con l’immaginazione e vivere una dimensione parallela capace di interagire con quella materiale. Le fantasie non coincidono con il desiderio, lo precedono o possono alimentarlo, allo stesso modo possono attivare l’eccitazione e sensazioni sessuali genitali molto forti fino al raggiungimento dell’orgasmo, anche senza nessun tipo di contatto fisico.

Da dove vengono le fantasie?

Possono attingere dall’esperienza personale – dall’infanzia e dall’adolescenza – e dall’immaginario collettivo, pescando cioè da elementi della cultura dominante. Ecco perché alcune fantasie sono ricorrenti e comuni a molte persone. Può far storcere il naso ma una delle fantasie più comuni riferite dalle donne è quella di essere prese con la forza da uno sconosciuto, questo non significa certo che si desideri essere violentate, per ogni persona può avere una valenza differente, per esempio può essere legata all’abbandonare il senso di responsabilità e il controllo, o alla possibilità di sperimentare la sensazione di essere fortemente desiderate indipendentemente dal legame che si ha con l’altra persona fantasticata. Questi desideri vanno a prelevare da un archivio di immagini culturalmente condiviso per creare delle vere e proprie scene nella propria mente e attivare l’eccitazione.  Il contenuto delle fantasie può essere sessualmente esplicito o implicito: potenzialmente qualsiasi immagine dotata di un valore emotivo per la persona è capace di sollecitare un desiderio ed una sensazione sessuale. Non è quindi necessaria la visione di genitali o di un atto penetrativo per erotizzarsi, per alcune persone può essere il riaffiorare di un ricordo particolarmente piacevole e sensoriale o un’immagine ad esso associata apparentemente svincolata dalla sessualità. Le fantasie possono infatti essere spontanee, quando si presentano senza impegno e all’improvviso senza alcuna intenzionalità, oppure volontarie, frutto cioè di una specifica elaborazione di stimoli quotidiani, di ricordi, sensazioni, desideri.

A cosa servono le fantasie?

Le immagini erotiche hanno principalmente tre funzioni:

  1. edonica: finalizzate alla ricerca del piacere, al risveglio del desiderio e dell’eccitazione e al raggiungimento dell’orgasmo.
  2. compensatoria: per sostituire desideri irrealizzati e irrealizzabili che vengono soddisfatti attraverso la fantasia supplendo alla mancata realizzazione nella vita quotidiana.
  3. omeostatica: per appagare bisogni psicoaffettivi non esauditi, come il bisogno di sicurezza, di piacere a qualcun*, di sentirsi desiderat* e nutrire la propria autostima.

La focalizzazione sullo scenario, il luogo, il contesto delle fantasie erotiche, nasce dalla riflessione sulla totale assenza di cura di questi elementi nella pornografia mainstream, in cui l’attenzione è maggiormente puntata sulla prestazione degli attori e delle attrici, uno zoom continuo su elementi prevalentemente irrealistici: misure, intensità di azioni penetrative, dominazione maschile ed eiaculazioni voluminose. Crescere con questo immaginario impigrisce e contrae il potenziale immaginativo di cui abbiamo capacità smisurata ma con cui non abbiamo familiarità, perché tendiamo a far nostri scenari preconfezionati e a negarci questa possibilità sotto l’influenza dei tabù che vedono nella sessualità qualcosa di sbagliato e sporco. Per allenare l’immaginario è necessario ricontattare quello strumento magico che i bambini e le bambine utilizzano naturalmente per giocare, inventare, proiettarsi in ruoli adulti, in ruoli fantastici e così procurarsi ogni genere di piacere, consolazione, compensazione, mantenendo in circolo la propria energia creativa.

Le immagini che sono arrivate da chi ha partecipato al gioco sono state organizzate in categorie:

  • Paesaggi naturali
  • Atmosfere architettoniche
  • Spazi urbani, luoghi pubblici
  • Mezzi di trasporto
  • Dettagli su oggetti

PAESAGGI NATURALI

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La netta predominanza di immagini che riportano luoghi naturali, dal mare ai boschi, fa pensare al desiderio di esprimere la propria parte istintuale e selvatica, un ritorno alla libertà e alla spontaneità nel vivere il rapporto con la natura e la nudità. In questo momento, forse, lo sguardo così predominante su luoghi lontani, come sottolinea il collega Davide Silvestri durante la diretta, può essere interpretato come un bisogno di uscire dalle proprie case dopo questi mesi di lockdown che hanno costretto le persone a vivere la propria intimità esclusivamente negli spazi domestici e che per alcune può aver rappresentato una  totale sospensione dalla propria vita sessuale.

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I paesaggi sollecitano l’ambientazione romantica e il risveglio dei sensi a contatto con gli elementi naturali. L’aria che accarezza il corpo, il contatto con  la terra. L’elemento ricorrente nella maggior parte delle immagini è l’acqua, da osservare in vicinanza, da lontano o in cui immergersi. Possiamo vedere nell’acqua un ritorno alle origini, all’utero, al liquido amniotico nel quale abbiamo nuotato per 9 mesi e del quale ci siamo nutrit*, corpo a corpo. L’acqua è un mediatore, facilita la comunicazione tra i corpi, la fusione. Compone circa il 70 % del nostro corpo. È elemento principale della maggior parte dei lubrificanti, usati per facilitare i giochi erotici e le penetrazioni.

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In alcuni scenari predomina il punto verso cui si guarda, cosa si può osservare dal luogo in cui si è scelto di ambientare le fantasie, sottolineando l’importanza di vedere il contesto in cui si è immers*, di guardare insieme, di proiettarsi e farsi dondolare dal luogo non solo come sfondo ma come culla che amplifica l’esperienza e la contiene.

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Questa funzione di contenimento sembra essere svolta anche da chi sceglie dei luoghi che portano lo sguardo verso paesaggi naturali ma non rinunciano ai confort più domestici, come una piscina o una vasca idromassaggio posizionati in un luogo interno, più protetto e sicuro, che permette una vista su uno spazio panoramico. Questo aspetto di comodità e lusso che non rinuncia alla natura può essere letto anche nelle immagini che individuano il luogo delle fantasie in ambienti tipici di strutture ricettive attente al design e alla bellezza.

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ATMOSFERE ARCHITETTONICHE

Compaiono poi ambientazioni legate a luoghi sacri, come piramidi e cripte, che segnalano un legame con la storia e la dimensione spirituale della sessualità, richiamando la connessione con un tempo sospeso, quasi al confine con il fantasy, il rapporto col mistico e l’oscurità, elemento che si presenta anche nei luoghi abbandonati, costellati di oggetti inutilizzati.

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AMBIENTAZIONI URBANE

La presenza di luoghi nella città, nelle piazze, nelle strade, può indicare il gusto per il proibito e la trasgressione, fa riflettere sul desiderio di riappropriarsi dello spazio pubblico. Questo aspetto è fortemente legato al processo di riduzione della sessualità alla sfera privata che si consuma nelle stanze, nei cantucci familiari al di fuori dallo sguardo collettivo e di come storicamente si sia creato il concetto di osceno, scandaloso, quasi offensivo, per qualificare espressioni del corpo e atti vissuti in luoghi non comunemente deputati alla vita sessuale di giorno, ma che la notte, al buio, si trasformano in spazi per la prostituzione e il battuage in cui ricercare rapporti sessuali.

Collage7Locali pubblici che permettono di superare il confine del proibito, trasgredire, portarsi oltre il limite, come i bagni pubblici, i camerini di un negozio, il palcoscenico di un concerto. Ambientazioni che permettono contemporaneamente di mettere in scena, esibire la sessualità e giocare con il rischio di essere vist*. Questi aspetti possono essere letti come desideri di affermazione, forme narcisistiche  funzionali ad un venir fuori e che richiamano a sperimentazioni identitarie tipiche dell’infanzia, come i bambini e le bambine che si spogliano improvvisamente per mostrare i propri genitali o il proprio corpo nudo, alzandosi la gonna o abbassandosi i pantaloni.

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MEZZI DI TRASPORTO

Collage9Il rischio di essere scoperti e la trasgressione compaiono anche nella fantasia di avere rapporti nei mezzi pubblici, negli autobus o nei treni, in cui si può essere vist* da altre persone che viaggiano o dal* controllor*. Immaginarsi su un camion che va ad alta velocità richiama il bisogno di andare oltre il confine, l’atteso, l’ebrezza della velocità e della trasgressione.

DETTAGLI SU OGGETTI

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Le ultime immagini portano l’attenzione su oggetti situati in spazi domestici, familiari, confortevoli. La musica che accompagna e accoglie i momenti di intimità e il calore romantico di un fuoco che brucia insieme a due calici di vino, in entrambi i casi il rosso che ricorda la passione e la fiamma che accende il desiderio, simboli e metafore fortemente presenti nell’immaginario sessuale della cultura occidentale.

La play list di immagini si conclude con il disegno realizzato da una follower che ambienta la sua fantasia in una strada sotto un lampione, riportando l’attenzione ancora una volta sulla dimensione pubblica, ma forse anche all’improvvisazione, alla sorpresa e al romanticismo di un momento non programmato, che asseconda una volontà estemporanea, in qualunque luogo ci si ritrovi, nel rispetto si sé e dello spazio che ospita l’incontro tra i corpi.

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Concludo con le parole del collega Davide Silvestri:

le fantasie sono un luogo sicuro dove approdare ogni volta che vogliamo. 

Dedichiamoci al nostro immaginario erotico, arricchiamo, espandiamo i luoghi della fantasia, con creatività, gioco e libertà.

 

Letture consigliate:

Bader M.. Eccitazione. Raffaello Cortina Editore

Consolo I. Il piacere femminile. Giunti

 

La pedofilia si può contrastare con l’arte erotica? Giornata nazionale contro la pedofilia

Recentemente ho scoperto che esistono giornate mondiali e nazionali per ogni genere di professione, malattia, discriminazione, commemorazione. Il 5 maggio, oltre ad essere la giornata internazionale delle ostetriche (e degli ostetrici?) e dell’igiene delle mani, è la giornata nazionale contro la pedofilia. Un tema che genera sensazioni contrastanti, dall’incomprensione, all’indignazione, fino alla messa in discussione delle attuali pene previste dal codice penale.

La nostra cultura è imbastita di grandi miti sulla pedofilia, alcuni sono talmente pregnanti da generare il terrore genitoriale nell’educazione dei figli e delle figlie. Vediamone alcuni.

I pedofili hanno  relazioni sessuali solo con bambin*, mai con adulti

Falso, nonostante manifestino una preferenza sessuale per bambin*, molti di loro hanno relazioni coniugali, spesso  per ragioni di convenienza sociale

I pedofili  scelgono le loro vittime a caso

Falso, generalmente conoscono i/le bambin* e hanno già fantasticato su di loro

I pedofili sono solo uomini

Falso, benché in minoranza, esistono anche casi di donne pedofile

Tutti i pedofili ricevono un trattamento terapeutico dopo avere scontato la pena in carcere

Falso, purtroppo la maggior parte di loro non riceve alcuna forma di trattamento.

I miti e le false credenze sulla pedofilia possono essere considerati funzionali alla stigmatizzazione dell’identità del pedofilo, inferiorizzata e resa deviante in virtù di specifiche regole morali,  esattamente come l’uomo nero e l’orco cattivo, personaggi paurosi creati per impedire di andare in un luogo, fisico e simbolico.  La figura del “pedofilo” rischia spesso di essere il paziente designato, quello che porta il peso  del grande sintomo di una società sessuofobica che guarda solo alla punta dell’iceberg, alla manifestazione di un problema che poggia strutturalmente su una cultura moralista e continua a negare la dimensione erotico sessuale della vita. Di questo evitamento si ha prova osservando come le agende politiche dei nostri governi dimentichino sistematicamente di discutere  dell’inserimento dell’educazione alla sessualità a scuola (nel 2014 l’Ufficio Regionale per l’Europa dell’OMS e BZgA ha definito gli Standard per l’Educazione Sessuale in Europa e predisposto una guida dettagliata alla realizzazione dei piani educativi per ogni fascia d’età).

Non si vuole negare la responsabilità di chi attua comportamenti pedofilici e abusi sessuali[1], ma riflettere su come puntare tutta l’attenzione sulla creazione di un nemico con toni sensazionalistici tolga risorse agli interventi di promozione della salute sessuale e della cultura della sessualità, fondamentali sia per prevenire comportamenti pedofilici quanto per potenziare le capacità di consapevolezza sessuale e autodeterminazione di bambini e bambine.

Un indicatore di questa tendenza a portare lo sguardo sulle conseguenze e non sulle cause strutturali di un fenomeno è rappresentato dall’etichetta di pedofilo e dalle accuse di istigazione alla pedofilia che nella storia hanno gravato su molti personaggi del mondo dell’arte e della musica, ma basta anche solo osservare l’abitudine linguistica ad usare la parola “pedofilo” come insulto o a scopo denigratorio, per esempio per deridere una persona che frequenta ragazz* più piccol*.

 

Egon Schiele: il mio arresto non è un malinteso!

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Donna seduta con gamba sinistra piegata, 1917. Egon Schiele

Uno degli artisti a cui l’accusa di pedofilia ha segnato profondamente la vita è stato Egon Schiele, pittore e incisore esponente dell’espressionismo austriaco.

Uno sguardo devoto alla bellezza il suo, non per incorporarla e possederla, ma per espanderla, smaterializzarla dal corpo, imprimerla sulla tela. Uno sguardo non vorace, morboso o voyeurista, come alcune critiche sostengono. La bellezza che ritrae è vissuta non esibita, i corpi sono tratteggiati di sofferenze, tensione viscerale tra eros e thanatos. La sua è stata definita estetica del brutto. Schiele insieme a Kokoschka ha infatti inaugurato una nuova espressività individuando per primo una dimensione estetica del brutto. Non si può certo dire che i suoi corpi fossero mercificati e sessualizzati, eppure è stato arrestato per pedofilia.

Nel suo diario di Neulengbach racconta la sofferenza per i 24 giorni ingiustamente trascorsi in prigione, si dibatte per comprendere il motivo del suo arresto e cerca di ricostruirne i fatti. Qualche settimana prima del suo arresto Schiele con grande incertezza accolse insieme alla sua fidanzata una giovane vicina che cercava di scappare di casa lamentando le pressioni familiari. I due tentarono invano di convincerla a tornare dai genitori e cercarono di accompagnarla da una zia. Dopo qualche giorno il padre scoprendo che si era rifugiata nella casa dell’artista andò a riprenderla facendo partire un’indagine nei suoi confronti. L’arresto arrivò dopo qualche settimana a seguito di una visita della polizia che fece dei suoi disegni erotici prova per l’accusa di pedofilia.

 <<I due poliziotti erano piombati inaspettatamente nel mio atelier, per controllare quello che stavo facendo. I genitori di alcuni bambini che avevo disegnato erano preoccupati. Qualcuno gli aveva suggerito la “preoccupazione”. […] Il gendarme disse con voce severa: “questi disegni sono osceni, devo portarli in tribunale. Le faremo sapere in seguito. Saputo non ho più niente, ma mi hanno messo in galera quei mascalzoni>>.

Per tutto il tempo della sua permanenza in carcere Schiele scrisse per cercare di ricostruire gli avvenimenti, esprimere il suo turbamento e comprendere cosa gli stesse accadendo.

 Non sono stato arrestato a causa di una ragazzetta isterica, bensì perché indiziato di atti osceni con minori, con bambine, per aver eseguito disegni erotici, vale a dire osceni, che avrei mostrato ai bambini o comunque avrei negligentemente lasciato in giro fuori dalle cartelle. Insomma, finalmente so perché <<sono al fresco>>! È uno scandalo! Una grossolanità quasi da non credere! Che meschinità! E che enorme, enorme stupidaggine! È una vergogna per la cultura, una vergogna per l’Austria che a un artista possa accadere, nella sua patria, una cosa simile. Non lo nego: ho realizzato disegni e acquerelli che sono erotici. Ma sono pur sempre opere d’arte. Altri artisti non hanno forse dipinto quadri erotici? – Rops, ad esempio, ne ha fatti solo di questo genere. Ma nessun artista è stato messo in carcere per simili motivi.

 L’artista sente e denuncia il pregiudizio verso il suo lavoro pittorico, non si capacita di come altri artisti abbiano ricevuto un trattamento differente pur facendo dei corpi erotici i soggetti principali delle proprie opere. Allo stesso tempo non comprende come un dipinto possa essere considerato osceno. Inoltre i suoi scritti rendono conto della forte resistenza culturale a considerare l’esistenza di una sessualità infantile. Proprio nei primi del 1900 lo psicanalista austriaco Sigmund Freud formulava le sue tesi sullo sviluppo sessuale infantile.

Nessuna opera d’arte erotica è una porcheria, quand’è artisticamente rilevante, diventa una porcheria solo tramite l’osservatore, se costui è un porco. […]. Dichiaro del tutto falso il fatto che avrei mostrato intenzionalmente a dei bambini tali disegni, che avrei corrotto dei bambini. È una menzogna! – Tuttavia so che ci sono molti bambini corrotti. Ma cosa significa poi “corrotti”? – Gli adulti hanno dimenticato quanto essi stessi erano corrotti da bambini, cioè stimolati ed eccitati dall’istinto sessuale? Io non l’ho dimenticato, perché mi ha fatto soffrire tremendamente. E credo che l’uomo sarà costretto a soffrire il tormento del sesso finché sarà sensibile allo stimolo sessuale.

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Giovane donna – Egon Schiele

 

Quando l’arresto non è possibile, la censura interviene al suo posto.

 È il caso più recente del pittore francese Balthus protagonista di una analoga accusa retrospettiva. Nel 2017 si è scatenata una polemica attorno al suo lavoro pittorico che ha portato al lancio di una petizione per richiedere la rimozione di “Thérèse dreaming”.  L’opera contestata, realizzata dall’artista nel 1938, raffigurante una ragazzina in atteggiamenti “provocanti”, era in mostra al Metropolitan Museum di New York. La promotrice della petizione indignata sosteneva che l’opera fosse pornografica e incitasse alla pedofilia, ignorando che un’immagine per essere considerata pornografica deve presentare quantomeno elementi indiscutibili di eccitazione sessuale genitale.

 

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Thérèse dreaming – Balthus

 Il problema non è l’arte ma lo sguardo moralista con cui la si osserva.

 Dire che un dipinto è capace di incitare alla pedofilia è come affermare che una donna che indossa la minigonna se l’è cercata e continuare a puntare lo sguardo sul soggetto e non sul pensiero dominante che indossa gli occhiali dei tabù anche per leggere l’arte.

La rappresentazione di un giovane corpo che esprime la propria sensualità racconta l’esperienza di scoperta che ogni adolescente attraversa durante il proprio sviluppo.

Approcciarsi alla sessualità attraverso l’arte erotica a scuola potrebbe spostare l’attenzione dal corpo erotizzato al corpo erotico, liberare le giovani generazioni dalla ricerca e condivisione compulsiva di materiale pornografico commerciale e sviluppare una sessualità libera dal dovere della performance, dall’ansia di dimostrare le proprie capacità, abbandonando le prescrizioni e pressioni a dimostrare, lasciando spazio al proprio sentire come guida nella ricerca e nella scoperta del piacere. La censura dell’arte erotica e della pornografia rischia di patologizzare l’espressione artistica e castrare la richiesta evidente di giovani adolescenti di sapere e vivere la scoperta dei corpi e della sessualità.

Approcciarsi alla sessualità attraverso l’arte fin dai primi anni di vita permette di contattare l’immagine di corpi erotici, non sessualizzati ma sensibili e vibranti, dove la nudità non è anelito della pornografia ma esperienza di purezza e pace con ogni parte del proprio corpo.

 

L’educazione alla sessualità anche attraverso l’arte sin dall’infanzia è il miglior strumento di prevenzione della pedofilia.

 

 

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Egon Schiele

 

[1] La parola pedofilia è utilizzata per indicare persone adulte che hanno una particolare attrazione erotico-sessuale nei confronti di bambin* prepuberi, tale disturbo NON VA CONFUSO con l’abuso su minori. Molte persone pedofile non hanno la consapevolezza chiara di aver abusato sessualmente di un* bambin*. Spesso credono che la vittima possa ricavare piacere, che il suo comportamento abbia un valore educativo. Al contrario molti sex offender non sono pedofili, il loro intento è violare la vittima.

 

Bibliografia

Egon Schiele (1999). Ritratto d’artista. SE libri

Mottana P. (2019). Elogio delle voluttà per una gaia educazione sessuale. Trattarello incostante in spazi, soggetti e oggetti adibiti all’uopo. Mimesis

Ogien R.  (2003). Pensare la pornografia. Tutti la consumano, nessuno sa cos’è. Isbn Edizioni

Quattrini F. (2015). Parafilie e devianza. Psicologia e psicopatologia del comportamento sessuale atipico. Giunti Edizioni

 

Entriamo nella Casa degli uomini: un invito alla lettura del libro “Il piacere maschile” di Fabrizio Quattrini

copertina il piacere maschileIl piacere maschile #sessosenzatabù scritto da Fabrizio Quattrini per la collana GIUNTI “Sesso: alla scoperta del piacere”, è in vendita dal 2017 nelle maggiori librerie italiane. La sua presentazione in numerose città è diventata un’importante occasione di divulgazione e sensibilizzazione sulle tematiche più attuali legate all’esperienza erotico sessuale maschile.  Consiglio la  lettura del libro a uomini e donne per  stimolare la riflessione sulla possibilità di un ripensamento del maschile libero da stereotipi e miti sulla sessualità.

Il piacere maschile offre una prospettiva di genere sul piacere e sulla sessualità problematizzando i miti culturali e gli stereotipi sociali che definiscono ancora in maniera rigida i ruoli di genere su due binari secondo norme rigorosamente eterosessiste. L’autore affronta il tema della costruzione dell’identità sessuale analizzando le interconnessioni tra il genere maschile, i processi identitari e le dinamiche relazionali, portando l’attenzione sull’influenza di tali meccanismi nell’esperienza erotico-sessuale.

Mentre i femminismi hanno contribuito a rivendicare l’esistenza dei corpi, scoperto la sessualità femminile e il piacere svincolato dal dovere procreativo per le donne, le conoscenze e le consapevolezze sul piacere e sull’erotismo maschile sono rimaste fortemente ancorate alla duplice modalità ironia-patologia su cui viaggiano i miti e gli stereotipi della cultura di appartenenza fortemente legati alla differenza tra i generi.
Oggi gli uomini si trovano a confrontarsi con aspettative sociali sul maschile, sul dover essere e dover corrispondere ad un certo ruolo, nell’impossibilità di dialogare con una flessibilità dei generi, trovandosi sovente a vivere con disagio e a sperimentare disfunzioni sessuali nelle relazioni intime ed erotico-sessuali.
Fabrizio Quattrini propone un percorso personale e culturale di riscoperta e ridefinizione del maschile, accompagnando i lettori e le lettrici nella scoperta della casa degli uomini, che, prima ancora della nascita, erige le sue fondamenta su un’educazione differenziata rispetto al genere e tratteggia lo sviluppo dell’identità e del ruolo maschile in ogni fase dello sviluppo. L’esplorazione è guidata dalla mappa dei miti del maschile che abitano e arredano questo luogo metaforico, proponendo strategie di identificazione di quello che l’autore chiama, con una tonalità quasi futurista, “l’uomo nuovo”. Si tratta di un percorso di consapevolezza e ridefinizione del sé maschile, di integrazione nella propria identità di quegli aspetti emotivi che sono stati automutilati nel processo di socializzazione al genere, perchè costruiti in via esclusiva attorno al genere femminile. Ripensare il maschile richiede proprio di entrare in contatto con la sfera emotiva e relazionale, imparare l’arte dell’interpretare e del comprendere, necessarie per poter comunicare ed esprimersi in ogni area della vita, in particolare in quella affettiva e sessuale. La trasformazione del maschile richiede di inventare una nuova virilità che si sostanzia e si esprime in una forza non alimentata dall’aggressività e dalla prepotenza, ma dal rispetto e dalla comprensione.
La consapevolezza proposta passa attraverso la conoscenza del proprio corpo svincolata dai limiti dei modelli stereotipici e più connessa con l’esperienza emotiva e intima del vissuto corporeo. Nell’affrontare i miti sul maschile e sulla sessualità, dalle misure del pene, all’intensità e durata della turgidità, alla durata di un rapporto sessuale, viene proposto un vademecum sulle fasi del ciclo della risposta sessuale con descrizioni che chiariscono i processi fisiologici e psicologici accompagnate da curiosità, vignette cliniche ed esercizi di self helping da sperimentare durante la lettura come esperienze di educazione e consapevolezza.

L’esperienza erotico sessuale viene presentata come una risorsa per il benessere fisico e psicologico, dove quell’altruismo orientato al dare piacere alla partner per dimostrare la propria virilità, con gli onori e glorie dell’orgasmo femminile a misura della prestazione maschile, lascia il posto ad un sano egoismo nella ricerca prioritaria del proprio piacere, promuovendo la valenza pedagogica della pornografia e la dimensione ludica dell’esperienza erotico sessuale, anche attraverso l’uso di sex toys.

Dalla conoscenza di sé e del proprio corpo l’autore passa ad analizzare il rapporto tra la costruzione dei rapporti di genere e le dinamiche relazionali, soffermandosi sui rapporti di amicizia tra uomini e sulle relazioni amorose tra maschi e femmine evidenziando il ruolo del mito dell’amore e della famiglia, dell’esclusività e dell’indissolubilità delle coppie tradizionali, come traguardi per la realizzazione di sé e per l’ottenimento del riconoscimento sociale di maschio adulto e uomo virile.
La coppia tradizionale si confronta oggi con forme relazionali più aperte, orientate allo scambismo e alla trasgressione, fino alle più recenti concettualizzazioni ed esperienze di reti poliamorose e alle contemporanee modalità di incontro virtuale sempre più influenti nella ricerca del piacere e nella formazione delle coppie.
Nel condurci verso la conclusione della sua trattazione, l’autore propone la dimensione bisessuale come orientamento relazionale presente potenzialmente fin dalla nascita e come libera e fluida espressione della sessualità umana, ma anche come fonte di arricchimento per la cultura dell’erotismo e per quell’auspicato percorso di integrazione del maschile e del femminile, già teorizzato da Jung nelle concezioni archetipiche di anima e animus, così come nelle filosofie orientali e nelle discipline olistiche, e presentato come percorso di ripensamento del maschile per la costruzione di un “uomo nuovo”.

Buona lettura!

Cosa fanno le lesbiche?

Tutto quel movimento senza attrezzatura, ma come farai!
Cuori nel deserto. Film 1985 Regia di Donna Deitch

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La produzione e la diffusione della conoscenza sul lesbismo continuano a vivere un meccanismo di controllo e repressione in numerosi campi del sapere, dalla storia al cinema, dalla psicologia alla sessuologia.

Della sessualità lesbica non necessariamente si può e si deve rintracciare una specificità che la contraddistingue da quella eterosessuale o gay, ma merita osservazione il fatto che mentre dell’omosessualità maschile si possono rinvenire pubblicazioni di ampio respiro per il lesbismo la letteratura è prevalentemente di nicchia e di orientamento femminista. I comportamenti e le pratiche sessuali delle lesbiche sono molto meno studiati rispetto a quelle degli uomini, perlopiù sono oggetto di curiosità da parte di chi ne è escluso per appartenenza di genere od orientamento sessuale (Barbagli, Colombo, 2001).

Non è sesso senza penetrazione!

Uno degli stereotipi più comuni sulle lesbiche è che la loro sessualità sia manchevole, carente, castrata dell’impossibilità dell’atto coitale genitale. Le pratiche erotiche tra donne sono considerate innaturali, ancora più delle relazioni tra uomini, probabilmente proprio per la mancanza di penetrazione fallica. Possiamo pensare che questa convinzione di manchevolezza sia fondata su una concezione  conservatrice della donna strettamente legata alla maternità, una donna lesbica sarebbe una donna a metà (Consolo, 2017) in quanto non capace di procreazione naturale in una relazione tra donne.

L’esperienza del vissuto lesbico e del suo sviluppo richiede di abbandonare la complementarietà dei corpi maschile e femminile a favore di una loro innovazione, nella direzione di un incontro paritario, concordato, negoziato in ogni suo aspetto. Le lesbiche sembrano proporre una sessualità distaccata dal registro eterosessista, non governata cioè dalle norme sulla differenza dei sessi e dalle sue gerarchie, ma centrata su un diverso posizionamento relazionale, in cui la donna è soggetto e non oggetto di dominio della sessualità maschile.

La sessualità lesbica si caratterizza per una moltiplicazione delle pratiche altre rispetto al coito, considerate veri e propri atti sessuali, non “preliminari”, esperite da entrambe le partner nella prospettiva dello scambio, dell’intercambiabilità, della simmetrizzazione. Tali pratiche consentono di sovvertire gli schemi binari che strutturano la percezione dei corpi e dei luoghi, con il superamento, per esempio, della contrapposizione degli organi sessuali “duro vs molle”, e dei loro usi legittimi “davanti, dietro, sopra, sotto” (Chetcuti, 2014).

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Le lesbiche sono tutte promiscue!

Un altro grande mito è che le lesbiche siano tutte promiscue. Sembra invece che nel mondo lesbico contemporaneo sia diffusa una particolare  forma di monogamia seriale secondo cui le donne tenderebbero a condividere una cerchia di amicizie (spesso legate al mondo dello sport, che sia calcio o basket) e ad avere relazioni all’interno della stessa passando da una storia all’altra. Tali dinamiche faciliterebbero l’insorgere di sentimenti di gelosia e aggressività tra amiche e partner (Consolo, 2017), dando vita a legami che sfociano in violenza. Questa monogamia definita “seriale” porterebbe le donne ad avere molte partner, non contemporaneamente, ma secondo uno script relazionale per cui abbandonano una relazione per iniziarne  immediatamente un’altra  (Barbaglia, 2001).

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Ma cosa fanno allora le lesbiche?

Pluralità di pratiche erotiche

Da alcune ricerche emerge una grande flessibilità e varietà di pratiche sessuali nell’erotismo lesbico che si presenta in maniera del tutto analoga a quelle eterosessuali. Le donne, nelle loro narrazioni, citano i baci, le carezze su tutto il corpo, il toccarsi le parti intime, la stimolazione del clitoride, la masturbazione, mentre risulta meno frequente il ricorso a pratiche legate prevalentemente alla penetrazione anale e vaginale, con l’eventuale utilizzo di strumenti sessuali come il dildo.  Il repertorio di pratiche sessuali sembra inoltre crescere e diversificarsi con l’età e in base alle preferenze personali, ma è altresì legato al ciclo di vita, alle posizioni politiche occupate, alle caratteristiche della relazione con la partner, alle culture e ai valori delle persone che fanno parte dei gruppi di riferimento di appartenenza.

Penetrazione tra politica e sovversione

Da una ricerca francese emerge come la penetrazione digitale per essere messa in pratica richieda di un livello sufficiente di fiducia e intimità. La penetrazione può essere dunque messa in pratica ma non definisce in sé il rapporto sessuale, il suo senso dipende sempre dal grado di intimità conferitole. Rispetto alle pratiche penetrative il significato sociale ad esse attribuite influenza notevolmente la loro presenza nella sessualità lesbica, non senza controversie. Molte donne infatti ritengono che tali pratiche non siano moralmente neutre e accettabili nelle relazioni lesbiche poiché richiamano il rapporto eterosessuale, tanto che il ricorso ad esse per alcune renderebbe non qualificabile come lesbico un rapporto. Altre invece non attribuiscono un significato politico alla penetrazione ritenendola una risorsa sia sessuale che affettiva, soprattutto laddove l’atto penetrativo viene ricodificato e rielaborato. “È uno stereotipo che una versa lesbica non si fa penetrare. Dipende dal significato che diamo alle cose. Se una viene penetrata e non viene presa come cosa fallocentrica, ma come cosa che dà piacere a un’altra, va bene e punto. È vero che ho fatto fatica a essere penetrata, con le donne ero rigida. Ma quando ho trovato una che me lo ha fatto vivere come modo di avere il piacere io l’ho vissuto con grande tranquillità” Nadia (Barbagli, Colombo, 2001, pag. 124).

Il sesso orale come pratica completa

Il sesso orale costituisce un atto sessuale a sé stante nella sessualità lesbica, non è un preliminare del coito come spesso vissuto nel rapporto eterosessuale, ma è considerato spesso funzionale in maniera esclusiva all’orgasmo. Nel rapporto con una donna il cunnilingus è vissuto come più piacevole e conforme rispetto al proprio desiderio ed è considerata una pratica in grado di cancellare i confini tra sé e l’altra e di unione con l’altra, che avviene attraverso il mescolarsi dei fluidi e degli odori, quasi nel tentativo di incorporarsi reciprocamente. La tendenza a praticare rapporti orali varia in base allo statuto della relazione, sembra infatti che tali pratiche vengano considerate più intime ed emotive e in quanto tali vadano riservate alle partner stabili, con cui si vive una relazione di maggiore trasporto e con cui si condivide un progetto di coppia e un maggiore senso di familiarità nel lungo periodo.

Chi fa il maschio chi la femmina?

L’elemento della reciprocità è molto importante per smontare un altro grande stereotipo sulle coppie gay e lesbiche secondo il quale vi sarebbe chi assume un ruolo più maschile “attivo” e chi invece femminile “passivo”. Mentre per le coppie eterosessuali esiste un modello sessuale cui fare più o meno riferimento, nelle coppie omosessuali è sempre più raro che i partner abbiano un ruolo sessuale stabile e specializzato, solo attivo o solo passivo. Sono rare oggi le coppie in cui i partner non ricambino un atto sessuale se non per fasi transitorie, in generale prevale la regola della reciprocità ed una certa ostilità verso la rigidità dei ruoli nei rapporti sessuali. Dagli anni 70 la cultura gay e lesbica italiana promuove l’etica della reciprocità in amore come una qualità positiva e una meta da perseguire, e disapprova modelli rigidamente non reciproci. Tra le donne lesbiche la presa di distanza è ancora più netta, la distribuzione ineguale dei ruoli infatti evocherebbe sia le opposizioni simboliche maggiormente riferibili al mondo gay, impedendo il riconoscimento delle peculiarità del mondo lesbico, sia il sistema relazionale eterosessuale fondato sulla contrapposizione tra una figura dominante e una dominata. Esistono tuttavia delle eccezioni a tale norma che denotano una certa flessibilità nei livelli di reciprocità legata sia a fattori personali, come i gusti e le avversioni squisitamente individuali, che situazionali, come le circostanze in qui avvengono gli incontri sessuali. Mentre per le donne eterosessuali “dare piacere” significa spesso accettare o concedere rapporti sessuali o pratiche contro la propria volontà e incedere spesso in un senso di disgusto, per le lesbiche il dare piacere è un’esperienza ordinaria che perde la connotazione negativa di obbligo divenendo uno scambio continuo. Dare piacere nel rapporto sessuale sovverte il rapporto di dominazione,  il piacere dell’una assume lo stesso valore del piacere dell’altra. Questo aspetto può sembrare ovvio ed essere presente nelle coppie eterosessuali, spesso riferito come un dono o una concessione all’uomo da parte della donna,  ma nelle lesbiche diventa fondamentale nel modo di vivere il rapporto sessuale.

 Nello scambio sessuale, il desiderio è guidato dal fatto di tentare di essere all’altezza, ma non nel senso della competitività. Essere all’altezza, significa veramente essere allo stesso livello dell’altra, essere in ascolto, essere proprio là dove sta l’altra

 Florence

Francesca Fadda

 

 

 

Piccola bibliografia e letture consigliate

Barbagli M., Colombo A., (2001). Omosessuali moderni. Gay e lesbiche in Italia. Il Mulino Contemporanea

Calcagno C. (2016). Storia del clitoride. Una biografia del piacere femminile. Odoya

Chetcuti N. (2014). Dirsi lesbica. Vita di coppia, sessualità, rappresentazione di sé. Ediesse Roma

Consolo I. (2017). Il piacere femminile. Scoprire, sperimentare e vivere la sessualità. Giunti

Lupo P. (2002). Lo specchio incrinato. Storia e immagine dell’omosessualità femminile. Marsilio Editori

Masters, W., & Johnson, V. (1967). L’atto sessuale nell’uomo e nella donna. Milano, Feltrinelli

Milletti N., Passerini L. (2007). Fuori della norma. Storie lesbiche nell’Italia della prima metà del novecento. Rosenberg & Sellier

Quattrini F. (2016). Parafilie e devianza. Psicologia e psicopatologia del comportamento sessuale atipico. Giunti