Come parlo di LGBTQI+ alle persone adulte? non mi capiscono!

Negli ultimi mesi durante alcuni interventi sull’identità di genere fatti nelle scuole superiori e all’università, diverse persone hanno chiesto come potessero parlare alle figure adulte di argomenti come genere, identità, orientamento erotico sentimentale. Come si può ridurre il gap generazionale con genitori, parenti, insegnanti, medic*? Perché sembra un linguaggio incomprensibile? Perché si usano molte parole inglesi?

La prima questione su cui dobbiamo interrogarci riguarda i motivi per cui la comunità lgbtq+ si è dotata di una lingua che per molte persone risulta incomprensibile. Partiamo da un breve ma necessario riferimento storico, ci serve per comprendere.

La lingua lgbtq è l’espressione e il prodotto di una comunità che nel tempo si è dovuta dotare di dispositivi linguistici e culturali propri per garantire l’interazione e talvolta la sopravvivenza tra i suoi membri in ogni parte del mondo. Codici linguistici e parole segrete, note solo all’interno della comunità, nella storia lgbtq, hanno avuto la funzione di proteggere una popolazione da persecuzioni, attacchi e violenze e di definirne i confini per garantirne la sopravvivenza. Quando parliamo di comunità lgbtq ci riferiamo ad un gruppo o segmento della popolazione accomunato da alcuni tratti che sfuggono, contrastano, reinterpretano le norme su genere e sessualità nell’età contemporanea, ovvero quelle norme elaborate teoricamente nell’Occidente europeo e nordamericano tra il XIII e il XIX secolo, tradotte in pratiche concrete (legali, mediche, religiose, socioculturali) che ancora oggi regolano le nostre vite. Si tratta di una comunità non omogenea al suo interno, che presenta differenze e aspetti di conflittualità tra soggettività ed esperienze situate in contesti geografici e culturali diversificati. È una comunità immaginata e costruita: così come genere e sessualità non sono leggibili in termini di naturalità, ma sono costrutti sociali, anche le soggettività lgbtiaq+ non sono astoriche e naturali. Infine, la comunità è transnazionale e come tale formula strategie retoriche, politiche ed esistenziali per negoziare i propri spazi di vivibilità e visibilità. (1) Tra queste anche la produzione di una vera e propria lingua che in questo senso è creativa, costruita nell’interazione tra i membri, che ne condividono la varietà e le norme per l’uso.

Il ricorso a termini inglesi ha a sua volta diversi motivi, proprio perché la comunità è transnazionale alcune espressioni nascono da subculture localizzate ovunque nel mondo che però sono collegate tra loro e marcate da simboli che ne garantiscono la riconoscibilità e la possibilità di avvicinamento. Servono proprio a questo le bandiere, a marcare un territorio e comunicarlo all’esterno. Se entro in uno spazio in cui ci sono esposte delle bandiere, anche con un piccolo adesivo, so che in quel territorio posso parlare la mia lingua, che probabilmente quel luogo è abitato da persone che fanno parte della comunità a cui appartengo e in cui potrò sentire riconoscimento, rispetto e sicurezza.

L’uso di parole inglesi da parte delle giovani generazioni ha quindi una funzione di differenziazione identitaria ma anche di protezione: parlare in codice in un contesto che non accoglie, perseguita, aggredisce, garantisce la sopravvivenza! L’assenza nella lingua italiana di parole che si riferiscono a una realtà ci dice anche che per la nostra società parlante quella realtà è ancora invisibile. Ci si rende invisibili, si sta stealth, fuori dai radar, ancora una volta, per proteggersi, ma anche perché storicamente è avvenuto un processo di invisibilizzazione. Durante il fascismo, per esempio, in Italia fu adottata una precisa strategia di cancellazione del lesbismo basata sul silenzio, sul non nominare una realtà che fino a quel momento non aveva un referente linguistico in italiano corrente per essere nominata, in modo tale che le persone non potessero riconoscersi. Attraverso il silenzio le persone fuori della norma venivano portate al confino. A differenza del nazismo, il regime di Mussolini non promulgò nessuna legge proprio perché non se ne parlasse, in questo modo lesbiche e gay venivano fatti sparire, condannati alla non esistenza (2). L’uso e il non uso delle parole non è mai neutrale, le parole come creano la realtà possono anche nasconderla: quando nella nostra lingua ci mancano le parole per riferirci ad una esperienza che esiste è importante che ci chiediamo il motivo.

La storia delle soggettività trans sta attraversando oggi un momento di emersione e di visibilità accompagnata dalla condivisione, ricerca e produzione di parole per dirsi, per parlare di identità di genere, molte delle quali, ancora una volta, sono in lingua inglese, espressioni che sconfinano il binarismo di genere, che cercano il modo per nominare identità ed esperienze che non si riconoscono nelle uniche espressioni presenti nella lingua italiana di uomo e donna e che fino a poco tempo fa ricadevano nella parola ombrello “travestito”, o , se proprio andava bene, “travestite” (3).

Con questa premessa storico-sociale è forse ora più comprensibile il motivo per cui chi non appartiene alla comunità lgbtq+ e/o non si posiziona come alleat*, non ne comprende la lingua: non ne ha avuto bisogno, non è stato socializzat*.  La scuola, la famglia e le altre agenzie educative non insegnano la storia, i diritti, le esperienze delle persone lgbtq+, esattamente come per tanti secoli, e ancora adesso, è stata oscurata la storia delle donne, la produzione letteraria, artistica, scientifica fatta dalle donne.

Ma allora come si fa a parlare di LGBTQI+ alle persone adulte? Come fanno insegnanti, genitori, parenti, a imparare?

Si fa esattamente come se si stesse apprendendo una nuova lingua!

Vediamo alcune pratiche che possono essere applicate.

Stare in contatto comunicativo con la comunità di parlanti nativi di una lingua. Ascoltare le persone lgbtq+, esercitarsi a parlare con loro, fare domande, esprimere le proprie difficoltà. Le nuove generazioni, le giovani persone della generazione Z (nate tra il 1995 e il 2010), oltre ad essere native digitali, dialoganti e iperconnesse, sono trans e non binary native, come se avessero due lingue d’origine (le famose L1 ed L2), nel senso che hanno a disposizione in modo immediato, accessibile, facile e fruibile un bagaglio culturale e linguistico che prima degli anni 90 era nascosto e indecifrabile.

Le prossime si possono praticare individualmente, insieme alle giovani persone della vostra vita, in famiglia o anche in gruppo:

Leggere libri, blog, riviste, graphic novel, manga scritti da persone lgbtq+

Guardare serie TV, film, documentari su e prodotti da persone lgbtq+

Ascoltare pod cast e musica prodotta da persone lgbtq+

Partecipare a incontri, seminari, eventi organizzati da associazioni e attivist*

Per imparare una lingua è bene praticarla ogni giorno almeno per mezz’ora.

Se siete giovani persone dedicate da dieci minuti a mezz’ora quotidianamente per parlare con i vostri genitori, in modo semplice e diversificato, dosate pazienza e assertività, usate un linguaggio che renda comprensibile ciò che per voi è ovvio e scontato, ricordate che quando eravate bambin* ci avete impiegato almeno un anno a dire acqua e pappa, e due anni per imparare il nome delle persone che si sono prese cura di voi (da adulti ci vuole molto meno tempo per imparare un nome).

Se siete persone adulte dedicate da dieci minuti a mezz’ora quotidianamente per parlare con le giovani persone presenti nella vostra vita, che siano figl*, alliev*, o chiunque per qualsiasi motivo interagisca e abbia una relazione con voi. Aggiungete e/o alternate il colloquio con le pratiche sopra citate, considerate che mediamente una serie tv dura da 30 a massimo 60 minuti, una puntata di Transparent (4), dura da 29 a 31 minuti. Si può fare!

Tenete conto che potrebbero esserci delle resistenze all’apprendimento, ne vediamo alcune.

  1. Resistenze cognitive: imparare una nuova lingua da adulti è un po’ più difficile che farlo da giovani, ma non impossibile, si imparano nomi di calciatori e cantanti di tutte le nazionalità e in ogni lingua!
  2. Resistenze culturali: far parte di un gruppo sociale lontano della comunità ed essere cresciuti in una cultura in cui il genere è racchiuso nell’equazione “o sei uomo o sei donna” e le relazioni sono solo eterosessuali crea delle convinzioni e dei sistemi di valori che possono essere duri da ammorbidire.
  3. Resistenze psicologiche. Siccome tutt* abbiamo un genere, un’identità di genere, un’espressione di genere, un orientamento erotico-sentimentale, confrontarsi con altre possibilità può mettere in discussione la propria persona e la propria storia, può generare emozioni forti, di paura, vergogna, smarrimento, ma anche di sorpresa, gioia e curiosità.
  4. Resistenze relazionali: essere genitori di una persona lgbtq+, soprattutto se la sua identità di genere non combacia con le aspettative e con l’immagine che si è sognata per la piccola persona che si è messa al mondo, può rendere molto difficile comprendere, accogliere, integrare, ma non impossibile!

La soluzione sta nella relazione, create uno spazio che accolga le resistenze insieme al desiderio di stare insieme, conoscere, crescere e donarsi, le persone adulte ad un certo punto devono imparare da quelle giovani, nutrirsi di quel dono meraviglioso che attraverso il dialogo e il sentire insieme permette di scambiarsi esperienze, paure, desideri e condividere il fluire della vita.

Per le giovani persone, attenzione: se dopo tutte le attenzioni, le precauzioni, le cure notate che le resistenze permangono non insistete, per imparare una nuova lingua ci vuole motivazione, interesse, partecipazione attiva, curiosa e amorevole. Se queste componenti mancano, proteggetevi, coltivate tutte le altre risorse che avete a disposizione: creative, sociali, corporee, emozionali.

E quando parliamo abbiamo paura
che le nostre parole non verranno udite
o ben accolte
ma quando stiamo zitte
anche allora abbiamo paura

Perciò è meglio parlare
ricordando
non era previsto che sopravvivessimo.

Litania per la sopravvivenza. D’amore e di lotta: Poesie scelte di Audre Lorde

Bibliografia

  • Maya De Leo (2021). Queer. Storia culturale della comunità LGBT+. Einaudi
  • Nerina Milletti e Luisa Passerini (2007). Fuori della norma. Storie lesbiche nell’Italia della prima metà del Novecento. Rosenberg & Sellier
  • Porpora Marcasciano (2018). L’aurora delle trans cattive. Storie, sguardi e vissuti della mia generazione transgender. Alegre
  • Serie TV Transparent, regia di Jill Soloway (2014)

Dal gender all’educazione alle differenze – 18 ottobre * SpazioPiù Pescara

Immagine_genderIn occasione dell’evento SPAZIOPIU’ FAMILY l’associazione La Formica Viola propone un incontro in-formativo per genitori sul tema “dal gender all’educazione alle differenze”.
Sarà un momento di riflessione condivisa sull’importanza di promuovere nelle scuole una cultura del rispetto e dell’accoglienza delle differenze, ma anche un’occasione per fare chiarezza sul fenomeno mediatico creato attorno alle tematiche di genere nelle scuole, che, in particolare nell’ultimo anno, ha generato un certo allarmismo nella comunità scolastica e nelle famiglie.
L’incontro è condotto da Francesca Fadda – psicologa, psicoterapeuta – e da Davide Silvestri – psicologo, referenti dell’associazione La Formica Viola.

L’appuntamento è per domenica 18 ottobre dalle ore 10:00 alle ore 11:00 presso il Centro culturale Spazio Più, in via del Santuario 156 a Pescara.
L’attività si svolgerà in contemporanea alla sessione di GIOCA YOGA – Yoga per Bambin* condotta da Alessandro Magnasco, Istruttore Oki Do Yoga.

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