
“Il bagno pubblico è l’istituzione sociale più evidente e diffusa in cui la separazione per sesso è ancora la norma e disfare questa separazione potrebbe avere un significato che va oltre la questione dei bagni. Se una donna trans può usare il bagno delle signore il messaggio implicito è che sì, è accettata come donna. Se un uomo trans può usare il bagno degli uomini, vale la stessa cosa”. New York Times, 2016
Il bagno della mia attività è gender free è un’iniziativa che parte dal basso grazie ad una rete di professionist* che desidera diffondere una pratica di accoglienza e rispetto liberando i bagni dal binarismo di genere. Si tratta di una piccola azione capace di rendere affermativo e accogliente il clima dei luoghi in cui lavoriamo e nei quali offriamo un servizio al pubblico. Comunica che ci si trova in uno spazio sicuro che non opera discriminazioni sulla base dell’identità e dell’espressione di genere, riduce l’imbarazzo e il malessere psicofisico di chi si trova costrett* a scegliere in quale bagno entrare. Comunica in modo esplicito che esiste una pluralità di identità e di corpi e che ogni espressione è libera di abitare lo spazio pubblico nel rispetto del proprio sentire, dei luoghi e delle altre persone.
La divisione dei bagni per genere viene accettata socialmente e data per scontata, almeno fino a quando non ci si scontra con l’obbligatorietà che impone una scelta capace di far sperimentare una incongruenza tra la propria identità e la predisposizione degli spazi pubblici secondo il sistema di genere binario. Per molte piccole e grandi persone che hanno un’identità gender variant, trans, gender creative, non binary, i bagni divisi per genere sono una fonte di disagio importante, dal punto di vista psicologico e fisico. Ci si può sentire costrett* ad entrare nel bagno etichettato con il genere diverso da quello che corrisponde alla propria identità per paura di derisione, rimprovero, discriminazione, sanzionamento. Si può scegliere di trattenere pur di evitare di esporsi a queste forme di microaggressione e rischiare di sviluppare infezioni a carico del proprio apparato urinario.
Camilla Vivian, autrice del libro e del blog “Mio figlio in rosa” lo racconta così: “ogni singolo giorno almeno una volta con la mia famiglia c’è questo problema. Ancora prima di uscire si calcola se poter bere o meno in vista del potenziale bagno a disposizione e il ‘trauma’ é ormai così inglobato che a volte in bagno non ci si va proprio anche potendo. Bisogna cambiare per crescere nuove generazioni libere almeno di fare pipì.”
Rendere il bagno gender free della propria attività richiede di prendere consapevolezza di alcuni miti, credenze e stereotipi che richiedono un piccolo approfondimento.
- La divisione dei bagni è il risultato del processo di separazione dello spazio pubblico dallo spazio privato e si basa sull’ideologia delle sfere separate
I bagni divisi per genere sono il risultato di un processo storico culturale moderno, nascono negli Stati Uniti all’inizio del 19° secolo con la promulgazione di leggi, che oggi definiremmo sessiste, basate sull’idea di proteggere le donne naturalizzando il loro bisogno di prendersi cura della prole e della famiglia negli ambienti domestici. Storicamente la divisione dello spazio pubblico da quello privato ha creato una separazione tra lo spazio occupato dagli uomini con ruoli di potere e grande visibilità e quello occupato dalle donne con ruoli di accudimento e invisibilità. La convinzione per cui le donne vadano protette dalla violenze segregando gli spazi pubblici infantilizza e vittimizza le donne e contemporaneamente costruisce e rinforza un’idea di maschile violento e incapace di governare i propri impulsi. - Stereotipi e credenze che confermano la necessità della divisione dei bagni per genere
La divisione dei bagni pubblici per signore e signori naturalizza l’idea che esistano biologicamente due sessi e sottintende che uomini e donne utilizzino in modo diverso i luoghi deputati a tale funzione in base a ruoli considerati stereotipicamente maschili e femminili. Stereotipi secondo cui gli uomini sin da bambini sporchino il bagno usandolo scorrettamente (prendere la mira è una competenza che i bambini sviluppano, non una carenza innata) e che le donne fin da bambine abbiano una vocazione per il pulito, la bellezza (gli specchi sono presenti prevalentemente nei bagni assegnati alle donne, per guardarsi, rifarsi il trucco, essere in ordine), l’accudimento (i fasciatoi per i neonati non si trovano nei bagni degli uomini). - Convinzione che i bagni debbano essere divisi per motivi igienici
Quella secondo cui i bagni pubblici non siano igienici e che sia possibile contrarre infezioni, soprattutto sessualmente trasmissibili, è una credenza molto diffusa che incontra l’idea che siano proprio le donne a veicolare malattie. Si tratta di falsi miti non supportati da studi scientifici. Le situazioni nelle quali è possibile contrarre infezioni in un bagno pubblico sono molto rare e sono indipendenti dal genere. Il rischio di entrare in contatto con germi e batteri è presente in qualsiasi luogo pubblico, sia al chiuso che all’aperto . - Pregiudizio secondo cui le persone trans usano i bagni pubblici che preferiscono per esercitare violenza sulle donne
Studi internazionali dimostrano che non esiste una correlazione tra la violenza sulle donne e la libertà di utilizzare i bagni pubblici, esiste piuttosto un rischio molto alto che una persona trans e non binary possa subire discriminazioni e violenza utilizzando il bagno adeguato alla propria identità di genere. - Il bagno unisex non ha bisogno di specificazioni
Un bagno solo o unisex può essere reso gender free per rendere esplicita la pluralità delle identità e dei posizionamenti di genere e non schiacciare le soggettività con il binomio maschio-femmina non rappresentativo della realtà. Un solo bagno gender free legittima, rassicura in anticipo rispetto al rischio di sentirsi guardat* e al bisogno di porsi delle domande (sto entrando nel bagno “giusto”? Posso entrare? Ci sarà un altro bagno?), comunica un valore e lo diffonde nel clima di quel luogo. Neutralizza una differenza culturale che storicamente è stata naturalizzata, promuove consapevolezza e cultura del rispetto.
L’iniziativa bagno gender free è aperta a chiunque si riconosca nei discorsi e nei valori appena descritti e intenda attivarsi con un piccolo gesto entrando in una rete di pratiche affermative.
Possono aderire:
Studi professionali
Piccole aziende
Fabbriche
Associazioni
Uffici pubblici
Centri sociali, biblioteche, ludoteche
Locali, bar, ristoranti
Palestre e club sportivi
Circoli culturali
Scuole, università, enti di formazione
Negozi di abbigliamento
Centri estetici, parrucchier*
Cinema e teatri
Come aderire:
- Scarica il file >> https://drive.google.com/…/1iaPIQNkz5U5J751enxC…/view…
- Stampa l’immagine e appendila nella porta del bagno per rendere anche la tua attività gender free.
- Scattati una foto e condividila sui social usando l’hashtag #bagnogenderfree
- Se vuoi aggiungi l’indirizzo e il nome del tua attività aggiungendo “la mia attività è gender free”
- Invita altr* a farlo!
Se desideri far parte di una comunità di pratiche affermative scrivi a bagnogenderfree@gmail.com
Segui il progetto Gender-Free Toilet e accedi all’archivio https://archive.org/details/@gender-free_toilet dove potrai scaricare gratuitamente altri adesivi e opuscoli informativi.
Finora hanno promosso e aderito:
Francesca Fadda – psicologa psicoterapeuta (Cagliari – Dolianova)
Maria Grazia Rubanu – psicologa psicoterapeuta (Cagliari)
Elena Fadda – osteopata (Cagliari – Dolianova)
Giorgia Antoni – nutrizionista (Cagliari)
Chiara Mastrantonio – psicologa psicoterapeuta (L’Aquila)
Gaia Guastamacchia e Viviana Berretta – studio di psicologia e crescita personale (Carcare, Savona)
Marzia Cikada – psicologa psicoterapeuta (Torino)
Gabriella Piana – psicologa psicoterapeuta (Sassari)
Chiara Bandecchi – psicologa psichiatra (Cagliari)
Giulia Curridori – dottoressa e ricercatrice in psicologia (Cagliari)
Valentina Strippoli – psicologa (Fano)
Ethan Bonali – attivista non binary
Giulia Carta – attivista e volontaria a supporto delle persone Trans (Sardegna)
Lila – Lega Italiana per la Lotta contro l’Aids (Cagliari)
Mamo Pizza e catering -di Massimo Mameli (Cagliari)
Dani Mitù (Cagliari)
Rainbow City Bar (Cagliari)
“Devo andare in bagno. Vorrei poter aspettare, ma non ce la faccio”. Justine mi sfiorò una guancia. “Mi dispiace, tesoro”. Peaches si erse in tutta la sua altezza. “Andiamo. Entreremo insieme a lei”. “No” dissi alzando le braccia. “Così ci arresterebbero tutte.” Mi faceva male la vescica. Se solo non avessi aspettato così a lungo! Tirai un respiro profondo e spinsi la porta del bagno delle donne. Due donne si rinfrescavano il trucco di fronte allo specchio. Una lanciò un’occhiata all’amica e finì di mettersi il rossetto. “E’ un uomo o una donna?”, le chiese mentre passavo. L’altra si girò verso di me. “Questo è il bagno delle donne” mi informò. “Lo so”. Chiusi a chiave la porta del gabinetto dietro di me. La loro risata mi penetrò nelle ossa. “Ma in realtà se quella è un uomo” una disse all’altra. “Dovremmo chiamare la sicurezza e controllare”. Tirai lo sciacquone e annaspai con la cerniera. Magari era solo una minaccia a vuoto, o magari volevano davvero chiamare la sicurezza. Mi affrettai a uscire dal bagno, appena sentii che se ne andavano. “Tutto okay, tesoro?” chiese Justine. Feci di si con la testa. Sorrise. “Hai tolto dieci anni di vita a quelle ragazze”. Mi sforzai di sorridere. “No, non si sarebbero mai prese gioco di un uomo a quel modo. Avevo paura che chiamassero la polizia. Sono loro che hanno tolto dieci anni di vita a me!”.
Stone Butch Blues, Leslie Feinberg
Risorse
Borghi R. Rondinone A., (2019), Geografie di genere, Unicopli
Come mai i bagni sono separati per sesso? https://www.moduscc.it/come-mai-i-bagni-sono-separati-per-sesso-18428-130916/